IL MARITAL RAPE

In questi giorni di fermo forzato dal lavoro mi sono dedicata alla lettura quasi quotidiana del sito del Sole 24 ore dove sono riportate le pillole della giurisprudenza della Corte di Cassazione.
Scorrendo i vari titoli, al di là dell'attualissimo tema relativo alle implicazioni giuridiche e alle interpretazioni degli atti di Governo in tema di COVID-19, mi sono imbattuta in questa sentenza del Febbraio di quest'anno, ma pubblicata il 4 Maggio scorso, su un tema che potrà sembrare anche scontato e noioso: lo stupro coniugale.
Ora, tutti sanno che mi occupo di violenza di genere, per cui per me è abbastanza normale gettare un occhio più attento alle pronunce della Suprema Corte che si occupano di questa tematica e a volte il parlarne a getto continuo potrà anche apparire ripetitivo. In realtà questa sentenza mi ha colpita per due motivi.
Il primo è che il fenomeno dello stupro coniugale viene sempre un po' preso sottogamba, come se il matrimonio e i doveri che da esso discendono legittimino quasi la pretesa di un rapporto sessuale nella coppia, come adempimento di quei doveri, peraltro codificati dall'art. 143 del codice civile. Senza contare che, nella mentalità di molte donne, il rapporto fisico con il marito è parte integrante del loro essere brave mogli. Ma questo è un discorso molto complesso e complicato che implicherebbe un'analisi del contesto sociale e culturale all'interno del quale ognuno di noi viene educato. Non mi permetterei mai di giudicare come una donna intende l'essere "una brava moglie/compagna" solo perchè io sono stata educata ad esigere il rispetto del mio compagno anche quando dico "no".
Il secondo motivo per cui ho deciso di approfondire l'argomento è la storia giuridica di questa forma particolarmente odiosa di violenza fisica. 
Qui, potrete leggere il commento alla sentenza che è la n. 7590/2020 della III Sezione penale della Corte di Cassazione.

Commenti

  1. Condivido in toto, sia come modesto giurista e sia come uomo, le determinazioni della Suprema Corte che costituiscono nomofilachia per i giudici di merito, nonché il commento della collega Giacometti.
    In verità, nell'intrattenere i giovani nubendi per i corsi prematrimoniali, ed a titolo grazioso per ben 23 anni, per le giornate dedicate al diritto di famiglia e per quelle dedicate alla sessualità di coppia, spiegavo e cercavo di trasmettere un concetto per me sacro: matrimonio NON è possedere l'altro/a, ma semplicemente implica la condivisione di un indirizzo di vita elaborato assieme.
    Quindi MAI deve implicare la prevaricazione sull'altro.
    La sessualità, spiegavo, deve costituire l'incontro di due mondi, di due soggetti che si stimano, che si ammirano, che si amano, pur diversi nella libertà piena di espressione.
    Il cosiddetto "dovere coniugale" MAI deve intendersi come obbligo, bensì come "possibilità" di dialogo intimo.
    Nella prefazione del bel testo del filosofo Renato Testa "Non ti sposare" , che ho avuto il privilegio di curare, appunto, ho espresso tali miei segmenti di vita vissuta trasmettendoli ai giovani.
    In mancanza, meglio non sposarsi. In mancanza, si ha violenza, si ha........stupro.
    Gioacchino Nicotri.

    RispondiElimina

Posta un commento

Benvenuto! Si accettano commenti pertinenti, scevri da critiche fini e se stesse. Non sono bene accetti coloro che commentano solo per litigare o per pontificare